IL CARNEVALE SINNAESE
(SU SEGAREPEZZA SINNIESU)
A Sinnai, e in molti paesi
della Sardegna meridionale, il carnevale anticamente si chiamava, in
dialetto campidanese, "segàrepezza" ed indicava la ricorrenza in cui
si macellava, si tagliava (segàra) e si mangiava carne (petza), in quantità
maggiori del solito. Ecco perché il nome "segàra e pezza".
Era una delle feste più allegre e movimentate. In ogni famiglia,
per quanto fosse povera, non dovevano mancare le zeppole o altri fritti.
I pastori preparavano il formaggio fresco e la ricotta per regalarli
agli amici e alle fidanzate da utilizzare come ingredienti per preparare
i fritti e cucinare il brodo reso più saporito. I primi piatti e le
pietanze erano: ravioli di formaggio o ricotta, la carne in umido di
capretto o agnello, porchetto, capretto e agnello arrosto. Il vino preferito
era quello nero. Con le zeppole si beveva la malvasia. Questa ricorrenza
era molto attesa dai piccoli e dagli adulti che approfittavano per riposarsi
dalle fatiche sopportate per accudire il bestiame o per lavorare la
terra.
Il Carnevale era molto atteso e riservava momenti di allegria
semplice e genuina che coinvolgeva anche gli anziani, solitamente austeri
e restii a manifestazioni pubbliche come canti, balli e scherzi. Si
iniziava il giovedì grasso (sa giobia de lardajolu) solitamente dedicato
alla consumazione del lardo. Infatti in ossequio all'antica usanza,
il giorno era d'obbligo cucinare, in tutte le case, le fave con il lardo,
cotenna, zamponi ed orecchie di maiale. Alla sera si dava inizio al
corso mascherato ed ai balli e sul tardi "is mascheras de cuaddu", comprendente
la corsa di focosi puledri attraverso le vie del paese, fra l'ammirazione
di una folla numerosa.
La domenica, alla sera, durante il corso mascherato, i giovani
andavano di casa in casa alla ricerca di zeppole; quindi nel piazzale
della Chiesa vi era tanta animazione con l'esibizione del ballo sardo
con l'accompagnamento delle "launeddas" eseguito da valenti suonatori
locali.
Il lunedì era il giorno più atteso in quanto si svolgeva
la parodia di una battuta di caccia grossa ai cervi e ai cinghiali "is
cerbus", mimetizzati e mascherati, alla quale partecipavano anche i
battitori e i cani. I nostri antichi con tale divertimento intendevano
mettere in ridicolo gli appassionati della caccia grossa poco esperti
e beffeggiare personaggi infelici alle prese con problemi del tetto
coniugale (carnevale... ogni scherzo vale!). Era questo un divertimento
di particolare attrazione che si svolgeva con la partecipazione di numerose
maschere, con archibugi, chitarre, fiaccole, petardi, col lancio di
"semini de stoia". Questa manifestazione richiamava molta gente anche
dai paesi vicini.
Il martedì, "su martis de agoa", di mattina, all'uscita
di chiesa dopo la Messa, si faceva il ballo sardo detto "su ballu de
Missa manna" come era solito farsi la domenica. Di pomeriggio aveva
luogo la corsa di cavalli a pariglia, consistente nell'abbattere, con
un rampino, mentre il cavallo veniva spronato a folle corsa, un bersaglio
pensile, costituito da galline, conigli e dolci. Il bottino veniva raccolto
da altre maschere (is crobus) che, alla stregua di avvoltoi, strappavano
il bottino ancora appeso alla fune allentata.
All'imbrunire si concludevano le feste con il seppellimento
di Carnevale (Carnovali mortu). Si era solito fare un pupazzo che rappresentava
Carnevale destinato alla condanna a morte per impiccagione o per decapitazione
o bruciato vivo. Con tante altre maschere, i parenti, la vedova vestita
di nero, il dottore e gli infermieri in camice bianco, organizzavano
un corteo funebre e lo si portava in un carro attraverso le vie del
paese. In questa fase si assisteva ad una scena funebre e comica insieme,
in cui gli "attitidus" (i lamenti) si confondevano con le risate degli
spettatori e con le battute spiritose di colui che leggeva il testamento
di Carnevale. Tali disposizioni di ultima volontà dicevano: "Io Carnevale
Burricu dispongo di tutti i miei beni nel modo che segue: lascio le
mie orecchie ai sordi, gli occhi ai ciechi, le mandibole ai senza denti,
la lingua a mia suocera, la voce al banditore, la mia pelle ai calzolai,
i miei capelli al sellaio, il bacino e le ossa ai macellai, le interiora
ai cani e gatti e i fichi secchi ai consiglieri".
A mezzanotte, il campanone della Chiesa, con i suoi 101
lenti rintocchi, dava l'annunzio dell'inizio della Quaresima.
Ma quasi sempre a Sinnai la festa continuava anche la prima
domenica di Quaresima, detta "dominigu de is troias" per un curioso
particolare. Infatti "is troias" sono le donne sporche, pigre e trasandate,
che non avendo avuto modo durante le feste proprie del Carnevale, di
attendere alle faccende domestiche e alla cura della famiglia, avevano
rimandato sia il governo della casa che la preparazione delle "zippulas
e culiscionis" ed ogni altro genere di doverosa occupazione, alla domenica
successiva. Da qui l'appellativo "dominigu de is troias" che era un
gradito anche se fugace ritorno alla baldoria del Carnevale.
Nei tempi meno remoti, nella prima domenica di Quaresima,
si organizzava la corsa a pariglie e la "pentolaccia". In una località
prestabilita i più abilsibivano in spericolate acrobazie in piedi, da
soli o a due e a tre, sui velocissimi cavalli lanciati al galoppo. La
partenza dei cavalli avveniva velocemente, talvolta liberi dalle briglie
se la capacità dei cavalieri lo permettevano, mentre a briglie unite
negli altri casi. Durante il percorso il cavaliere si "svestiva" tenendo
la briglia stretta in bocca e liberando la sella.
L'abilità del cavaliere si misurava nella riuscita totale dello spoglio
del costume. Altri cavalieri, in maschera, in piedi sul cavallo, bardato
a festa, cercavano di rompere le pentole che precedentemente venivano
sospese ad un'asse tesa fra due pali molto alti. Ogni pentola conteneva
una sorpresa: zeppole, frutta, dolci, conigli, una coppia di colombi
vivi, galletti, e non mancava quella con i topi vivi o acqua. Il giuoco
durava fino a che non restavano più pentole intatte fra le risate, battimani,
urla di giubilo di grandi e piccoli. Tuttavia non mancava il panico
per i topi che cadevano dall'alto.
Per tutto questo periodo, di notte, in molte case, si tenevano
veglie (billus) con balli e canzoni in dialetto, ma l'ingresso era regolato
da inviti. Tutto il popolo, invece, poteva partecipare ai veglioni in
un cortile designato, detto "Prazza obbligada".
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Il Comune di Sinnai,
l'Associazione Pro Loco Sinnai,
l'Associazione "Sinnai & Dintorni",
l'Associazione "Is Cerbus",
presentano
SU CRANOVALI SINNIESU 2020
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